Questa settimana, invece di una intervista, vi voglio raccontare della mia esperienza in Peru’ che ormai sta volgendo al termine.
Ho lasciato l’Italia il 12 luglio senza avere una ben che mi minima idea di quello che, nei successivi cinque mesi e mezzo, sarei andato a fare. A partire dall’inizio del 2019 mi ero messo alla ricerca di un’opportunita’ di volontariato nel Sud America che potesse, finalmente, mettermi in gioco dopo 5 faticosi anni del liceo. Avevo bisogno di nuove motivazioni, di sentirmi vivo, e di rischiare, dopo troppo tempo rinchiuso nelle mie certezze. Dovevo per una volta buttarmi e vedere dove sarei finito e cosa avrei fatto. Del resto se non l’avessi fatto ora, quando?
E così le ricerche si sono protratte per 5 mesi, nei quali, a mano a mano che il tempo passava , cominciavo a perdere le speranze. Nonostante cio’, dopo aver scritto e parlato (lui in castigliano e io in inglese) con un signore francese emigrato a Lima , il 20 maggio mi era stato mandato il documento di un progetto di volontariato in Peru’. Senza perdere tempo e temendo che non mi si sarebbe piu’ ripresentata un’occasione del genere, decisi di accettare senza esitazioni.
Nonostante quasi la totalita’ delle persone che avevo intorno, avesse un’opinione per lo più contraria a quest’esperienza, io avevo zittito tutti i dubbi nella mia testa e volevo solo prendere e partire.
La cosa che piu’ mi dava fastidio era il fatto che, senza ascoltarmi minimamente, queste persone pretendessero di intendere le mie motivazioni e ritenessero che, intraprendendo questo viaggio, avrei “perso” un anno.
Sicuramente, non mi aveva aiutato il fatto che nei mesi precedenti avessi provato e incredibilmente superato il test dell’universita Bocconi prima e quello della Cattolica poi. Tutto cio’ aveva creato nelle persone intorno a me delle grandissime aspettative riguardo il mio futuro universitario che, per un “non è quello che voglio”, erano improvvisamente sfumate.
Il mese successivo ho avuto l’esame di maturita’ e per questo non ho pensato minimamente alla realta’ nella quale, nel giro di poche settimane, sarei stato catapultato. Il giorno del mio esame orale, dopo aver visto le facce dei professori sconvolte mentre ascoltavano per la prima volta quello che sarei andato a fare, tornato a casa ho immediatamente comprato il volo di sola andata per il Peru’.
Nelle settimane successive continuavano a frullare nella mia testa un sacco di pensieri. “ È la giusta decisione rifiutare su due piedi l’università per il Peru’?” “Mi pentiro’ ?” “E se non mi dovessi trovare bene?” “Ma poi da solo potrebbe essere anche tosta..”
Nei giorni precedenti alla partenza mi vennero in mente altri due grandi problemi a cui non avevo dato minimamente peso, come quello della sicurezza, dal momento che in Peru’ e’ pratica diffusa il rapimento di persone a scopo estorsivo, e quello della lingua, avevo iniziato a studiare spagnolo soltanto una settimana prima della mia partenza e ,per di piu’, nella regione in cui sarei andato la lingua principale era il Quechua (di derivazione Inca), per intenderci lo stesso nome della marca Decathlon.
Nonostante tutte queste preoccupazioni pensavo che questa sarebbe stata un’avventura talmente pazza e al di fuori del comune che valeva la pena viverla dal momento che difficilmente mi si sarebbe potuta ripresentare in futuro.
L’unica cosa che rimaneva da fare era partire. Il 13 luglio dopo due voli (Milano-Madrid e Madrid-Lima) ero finalmente arrivato in Peru’, a Lima. Subito dopo essere uscito dalla area aeroportuale mi ero scontrato con una realta’ diversissima a quella a cui ero abituato: baraccopoli che si estendevano a vista d’occhio, venditori ambulanti in tutte le strade, cani liberi e una confusione pazzesca. Solo alla vista rabbrividivo pensando che, essendo un europeo, sarei stato una preda facile per qualunque rapinatore in un ambiente del genere.

Dopo essere rimasto a Lima per tre giorni, nei quali avevo potuto rendermi conto di quanto fosse grande la disuguaglianza economica in questo paese, mi ero diretto all’aeroporto Jorge Chavez per prendere il terzo e ultimo volo per la provincia di Ayacucho.

Ad Ayacucho era venuto a prendermi il capo del progetto. Dopo due ore di tornanti e con altezze che oscillavano trai 2700 e i 4000 metri, finalmente, ero arrivato a Pampacangallo, quello che da li’ ai mesi successivi sarebbe stata la mia casa. Pampacangallo e’ un piccolo paese situato sulle Ande Peruviane, a un’altezza di 3400 metri, della provincia di Ayacucho.

Il mio lavoro consisteva nell’aiutare alla mensa locale dei poveri (il comedor) tutte le mattine insieme a Berta, la cuoca, e Don Lucho, l’aiutante (andate a leggere la sua intervista!). Dovevo tagliare e preparare i diversi ingredienti per il pranzo e servire ai tavoli.


Il pomeriggio lo passavo a fare attivita’ di tutti i tipi con i bambini e i ragazzi del posto: sport, giri in bicicletta, giochi nella ludoteca e lezioni di cucina.

Ambientarsi non e’ stato facilissimo dal momento che questa regione, a causa dell’ondata di terrorismo che si era diffusa nel territorio tra gli anni 80’ e 90’, non e’ turistica ed e’ rarissimo incontrare degli occidentali persino nel capoluogo, figuriamoci in un paesino sperduto sulle Ande. A peggiorare le cose, era molto diffusa tra gli abitanti la teoria secondo la quale gli occidentali fossero i cosi’ detti Pishtacos, trafficanti di organi che venivano in queste aree remote per sequestrare e ammazzare i bambini. Sicuramente non aiutava, a rendermi poco riconoscibile, il fatto che sono alto quasi 1,90 in un territorio in cui l’altezza media raggiunge a mala pena il metro e settanta. Per questi motivi, la presenza di un’occidentale in un paese cosi’ piccolo saltava subito all’occhio. Oltre al fatto che venissi osservato continuamente ovunque andassi, si aggiungeva la sgradevole consuetudine di farmi pagare il doppio qualunque prodotto che volessi comprare (non scrivono i prezzi!) dal momento che, secondo la loro visione qualsiasi occidentale è sicuramente pieno di soldi.
Invece di chiamarmi con il mio nome,la maggioranza delle persone, mi si rivolgeva con l’appellativo di GRINGO o BLANCO.
Sempre relativa alla visione degli occidentali come persone piene di denaro, a partire dai primi giorni avevo ricevuto da parte di famiglie del luogo la richiesta piu’ o meno esplicita di sposarmi o fidanzarmi con le loro figlie (non tanto per il mio aspetto fisico ma quanto per il mio portafoglio, che però era completamente vuoto…).
Per mantenermi, visto che volevo cercare di autosostenermi economicamente e visto che tutte le spese da qua’ alla fine del viaggio le avrei dovute pagare con i soldi guadagnati e risparmiati gli anni prima , avevo deciso, insieme a dei ragazzi dell’istituto di agraria locale, di aprire una pseudo pizzeria abusiva nel centro del paese (nonostante non avessi mai fatto in vita mia una pizza). Ogni mercoledi’, il giorno del mercato, ci ritrovavamo a vendere pizza nella piazza principale. Gia dalla prima volta ci imbattemmo in un problema che non avevamo minimamente preventivato: qui’ non sanno cosa sia la Pizza! Nel primo mese avevamo quasi perso tutti i soldi che avevamo messo per finanziare questa attivita’ e percio’ due dei quattro componenti del gruppo avevano deciso di lasciare e così la settimana successiva anche l’ultimo.
Mi ritrovai da solo, ma decisi che non avendo alternative dovevo per forza continuare. E pian piano nelle settimane successive si sparse la voce in tutto il paese e iniziarono ad arrivare i primi acquirenti.
La preparazione della pizza si svolgeva in questo modo: martedi’ preparavo la massa; il mercoledi’ mi svegliavo alle 6 del mattino e iniziavo a preparare e a cucinare le 12 pizze che avrei cercato di vendere nel pomeriggio. Subito dopo, correvo al centro del paese e, dopo aver disposto un tavolo di legno di fianco ad altri commercianti, iniziavo a vendere. Molte persone si avvicinavano a chiedermi se quello che avessi preparato fosse una torta o scherzavano in Quechua su quello che stessi vendendo. In questo modo però riuscivo a guadagnare dai 30 ai 35 soles (9$) settimanali, vendendo ciascuna fetta di pizza a 1 sol oppure una pizza intera a 5soles, il che era piu’ che sufficiente per la vita di Pampacangallo.


Vivevo in una casa molto accogliente, anche se spartana, insieme al prete locale e a due lavoratori venezuelani dell’associazione. Entrambi erano fuggiti dal Venezuela, dove la vita non e’ piu’ sostenibile, per lavorare e mandare del denaro a casa dove vive ancora la loro famiglia. La particolarita’ della casa erano delle piccole fessure lungo il muro e il soffitto pericolante che facevano si’ che ci fosse la stessa temperatura sia dentro che fuori dalla casa. Un fatto non molto piacevole dal momento che di notte le temperature raggiungevano qualche grado sotto lo zero.

Gia’ a partire dal primo giorno capii la mentalita’ delle persone del luogo. Il secondo giorno, dopo l’attivita’ nella ludoteca, venni presentato ai bambini, che diversamente dai loro genitori, subito si fiondarono a salutarmi e a pormi un’inifinita’ di domande sull’Italia e sul cibo italiano, senza alcun minimo timore e diffidenza. A partire dai primi giorni mi si avvicinavano per vedere quanto erano alti rispetto a me e la differenza di numero di scarpe. Con il passare delle settimane e dei mesi iniziai a conoscerli meglio attraverso le attivita’ proposte dall’associazione.

L’attivita’ piu’ interessante era la lezione di cucina, dove, insieme ai bambini, mi cimentavo ad insegnarli (anche se la maggior parte delle cose non le avevo mai fatte) ricette di ogni tipo: dalla pizza ai ravioli di carne. Questo mi ha aiutato ad imparare a cucinare anche perche’ qui’, nei piccoli negozi, non si trovava niente di tutto quello che siamo abituati a vedere in Italia e perciò se vuoi mangiare qualcosa che sia diverso da riso e patate devi per forza darti da fare..


Con il passare dei giorni iniziavo ad immergermi sempre piu’ in questa nuova realta’ lontana centinaia di anni da quella a cui ero abituato. Per prima cosa, quasi la totalita’ delle strade non è asfaltata ed è veramente difficile trovare delle case che non siano fatte di terra e con il tetto di lamiere. Qui’, la civilizzazione e’ arrivata molto tardi. A partire dai primi anni duemila sono arrivate l’elettricita’ e l’acqua (anche se non potabile).


Anche la societa’ e’ rimasta indietro nel tempo con un’organizzazione di tipo machista e patriarcale, dove la donna rimane a casa a gestire i figli e le faccende domestiche mentre l’uomo lavora quasi’ tutto il giorno nei campi. Per questo motivo, l’eta’ media in cui le donne hanno dei figli in questa regione e’ molto bassa, dai 20 ai 24 anni, mentre il numero dei figli, nonostante le ristrettezze economiche, raggiunge picchi di 8 figli a famiglia.

Proprio per questo, una delle principali domande che mi venivano poste dopo il luogo in cui fossi nato e il mio nome, era se fossi sposato e se avessi dei figli.
È stato difficilissimo ambientarsi all’altura, essendo passato da 0 a 3400 metri sul livello del mare in poche ore.. Dopo ogni movimento, che fosse una corsa o la salita delle scale, mi dovevo fermare a riprendere fiato. Sicuramente mi hanno particolarmente aiutato a sconfiggere il mal di altura le foglie di coca da masticare e il famoso mate de coca.
Dal punto di vista intestinale era un incubo. La settimana dopo essere arrivato ero uscito con dei ragazzi a cenare in un ristorante cinese (sconsigliatissimo!) molto economico della zona. Avevo passato i due giorni successivi sdraiato sul letto con un fortissimo mal di stomaco e mal di testa, che non mi permettevano di muovermi, imprecando contro i proprietari del maledetto cinese.
Per avvicinarmi sempre di piu’ alla cultura locale, molte volte partecipavo a delle feste e ai rituali del luogo. E’ molto comune la benedizione delle vacche, nella quale le si ringrazia per aver aiutato la famiglia che le possiede a ricavare del denaro per mandare i figli a scuola e per vivere, oppure le corride dei tori. In queste feste si riuniscono tutta la famiglia e gli amici che dopo aver fatto le celebrazioni mangiano insieme il cibo e gli animali che sono stati precedentemente uccisi davanti agli invitati. E’ tradizione che in questi paesi due volte all’anno vengano organizzate grandi feste, finanziate per la maggior parte dai cittadini, in cui chiunque e’ benvenuto e puo’ mangiare e bere birra gratuitamente. E’ un popolo che, nonostante abbia veramente poco, e’ sempre disponibile a condividere tutto quel poco che ha.

Per quanto riguarda il cibo (la comida), in ogni pasto non possono mancare il riso e le patate che vengono condite con salse o mangiate insieme a della carne. Molto apprezzato nella zona e’ il Cuy, un piccolo maialino d’india, che viene cotto in padella. A fine pasto non puo’ mancare il MATE DE COCA, realizzato con le foglie di coca coltivate nell’area ammazzonica del paese, un potente antidoto contro il mal d’altura. E’ consuetudine comprare borse di una libbra di foglie di coca per masticarsele come snack.


Nonostante il lavoro, sono riuscito a visitare con i lavoratori dell’associazioni le famose mete turistiche del Peru’ come Machu Picchu, Cuzco e la Montagna dai sette colori. Quella settimana di viaggio mi e’ servita per capire come il modo migliore per visitare un luogo sia immergersi nella sua cultura e stare a stretto contatto con la sua gente, senza trasportarsi, di giorno in giorno, in un’altra meta turistica.



Tra pochi giorni lasciero’ il Peru’ dopo aver passato quattro splendidi mesi in queste terre assolate e piene di gente amabile. In questo tempo ho potuto conoscere un sacco di persone speciali e divertenti che mi hanno permesso di conoscere e di avvicinarmi a questa nuova cultura tanto distante dalla mia. Sono entrato in contatto con storie difficili da raccontare: Chi e’ dovuto fuggire dal proprio paese, lasciando la famiglia e gli amici; chi con la propria famiglia invece ha resistito alle violenze del terrorismo e chi ha vissuto un’infanzia difficile dovendo emigrare illegalmente negli Stati Uniti. Storie che mi hanno fatto riflettere su quanto noi europei siamo fortunati a vivere in un territorio democratico e tranquillo.
Adesso mi preparo a muovermi piu’ a sud verso il Cile, L’Argentina, l’Uruguay e il Brasile, proteste e crisi sociali e politiche permettendo, dove trascorrero’ poco meno di due mesi spostandomi con un leggero zaino da 8Kg, dove terro’ lo stretto necessario per la mia permanenza.
Questo viaggio l’ho organizzato da solo un mese dopo il mio arrivo qua’ in Peru’. Volevo farmi un’idea piu’ chiara del Sud America sfruttando la centralita’ del Peru’ nel continente e cercando di fare il massimo spendendo il minimo. In questi luoghi, per entrare maggiormente in contatto con le tradizioni del popolo e vivermeli veramente (anche per limitare al minimo le mie spese!) , ho deciso di fermarmi per circa due settimane in ciascuno stato in modo da lavorare così da garantirmi vitto e alloggio.
Poco prima di Natale, infine, faro’ ritorno nella mia amata Italia pronto, poi, per ripartire per un’altra avventura!