Dopo aver concluso la mia esperienza in Peru’, mi sono diretto verso sud. Il mio obbiettivo era di farmi un’idea del Sud America cercando di viaggiare a basso costo.
Per questo ho deciso di spostarmi con solo uno zaino da 8 Kg dove tengo tutto il necessario per questi 45 giorni.
Ho trovato lavoro in tre delle quattro nazioni in cui mi fermerò, così potrò vivermi le città che visiterò, la vita quotidiana del posto e cercare di mantenermi.


E’ stato difficile lasciare Pampacangallo dopo quattro fantastici mesi ,ma tutte le cose belle, prima o poi, finiscono.


Un aspetto contro cui sempre mi sono spesso scontrato durante i miei viaggi e’ stato l’imprevisto. Il fatto che non tutto vada come pianificato e che qualcosa possa cambiare improvvisamente cosi’ da rovinare tutto cio’ che si era organizzato. E’ qualcosa di fastidioso ma allo stesso tempo è un’opportunità, perche’ puo’ portarti a fare cose che non solo non avresti mai fatto ma neanche pensato di fare. Ed è stato proprio quello che mi è capitato.


Come è noto, il Cile, il paese più evoluto e benestante del Sudamerica, da quasi tre settimane, è scosso da una sommossa popolare, dopo l’ennesimo tentativo da parte del governo di centro destra di Pinera di alzare i prezzi, in questo caso il biglietto della metro di Santiago.
La popolazione dopo anni di continue vessazioni nei quali tutti i servizi dello stato erano rincarati in modo insostenibile, dall’assistenza sanitaria all’istruzione, hanno deciso di ribellarsi e di manifestare il loro dissenso, in modo violento.

Santiago De Chile


Tutto questo, a distanza di poche settimane dal mio viaggio, mi ha posto in una situazione difficile: “Partire per il Cile o trovare un’altra destinazione?” “Vale la pena rischiare per pochi giorni in territorio cileno?”

Il mio piano iniziale era di rimanere lì per quindici giorni, a Santiago, dove avrei lavorato in un ostello del centro come “receptionista”, e poi avrei proseguito verso l’estremo sud, a Punta Arenas.


Sapendo degli scontri tra polizia e manifestanti e, soprattutto, dell’intervento militare con un coprifuoco (toque de queda), mai dichiarato dai tempi della dittatura dei colonnelli, richiesto dal presidente Pinera per sedare le rivolte, iniziai a preoccuparmi.

Militari a Plaza Italia


Ritenendo che l’esperienza a Santiago sarebbe stata non solo complicata, per via della chiusura di tutti i mezzi pubblici e le possibili difficoltà nel reperire alimenti, ma anche pericolosa, visto i violenti soprusi dei militari contro i cittadini, decisi di cambiare destinazione e scegliere un luogo più tranquillo.


A pochi giorni dalla mia fine del progetto in Peru’ mi ritrovai punto e a capo. Dovevo trovare una nuova citta’ piu’ tranquilla e lontana dal centro del Cile in cui andare e, lì, trovare un lavoro.


Nonostante mi fossi messo alla ricerca di una opportunita’ di pochi giorni in Bolivia, la scelta cadde su una citta vicino al confine peruviano, chiamata Antofagasta, a poca distanza dal famoso Deserto De Atacama. E per fortuna non l’ho trovato visto che La Bolivia ha subito pochi giorni fa da un Golpe militare che ha portato alla fuga del suo presidente (Evo Morales) in Messico.


Arrivò il fatidico 5 novembre.
Dopo aver preso tre voli (Ayacucho-Lima, Lima-Santiago e Santiago-Antofagasta) e aver dormito per poche ore nell’aeroporto Arturo Merino di Santiago mi ritrovai ad Antofagasta. Dall’aereo, durante l’atterraggio, vedevo solo una grande distesa di sabbia e il mare come sfondo.


Arrivato, aspettai che la responsabile del progetto, Pamela, mi venisse a prendere. Era in ritardo di oltre mezz’ora e quando disperavo di vederla apparve con due suoi collaboratori.


Ci dirigemmo verso la destinazione, l’EcoRayen parque, un parco di riciclaggio nel mezzo del deserto e a poche centinaia di metri dall’ oceano pacifico.
Una vera e propria oasi del riciclaggio nel mezzo del deserto, costruita dalla stessa Pamela per rendere conscia la nuova generazione di come fronteggiare il cambiamento climatico e di come il riutilizzo dell’usato sia possibile.

Ecoparque visto dall’alto


Venni sistemato in un Domo, una casa simile agli igloo fatta di legno, che mi ricordava il film Guerre Stellari, che si trovava all’estremità del parque.
Le caratteristica di questa piccola dimora era la sostenibilita’ che si traduceva nell’utilizzo della sola energia solare, ricavata dai pannelli solari posti sul tetto, e dall’assenza di acqua, visto che ero in un deserto.
Quando la vidi mi piacque ma allo stesso tempo preoccupato, visto che ero venuto a sapere che la settimana prima erano entrati a rubare.

La vista dalle due finestre del Domo


Il Domo era distante poche centinaia di metri dalla casa principale, in cui aveva vissuto Pamela e la sua famiglia per quasi tre anni, prima che il progetto prendesse realmente forma.
Questa casa aveva l’acqua, grazie a diverse cisterne sul tetto dell’abitazione, e una grandissima batteria ricaricata dai pannelli solari.


Il Parque, come anche la casa e il Domo, era stato realizzato con scarti di ogni genere, dalle assi di legno, usate come pareti, ai ganci dei quaderni con i buchi, usati come appendini.
Comprendeva due ettari di terreno su cui, negli anni, erano stati realizzati ogni genere di costruzioni e giochi, con pezzi di plastica o di legno riciclati.


In questo modo i bambini insieme ai genitori potevano essere educati e comprendere le potenzialità del riciclaggio dove, da un rifiuto qualsiasi, si può generare un oggetto ancora utile per la propria vita.
Tutti i weekend si riempie di famiglie e di bambini pronti ad imparare giocando. In questi anni Pamela ha ricevuto diversi riconoscimenti da parte dello stato per il contributo che sta dando alla comunità.


Eravamo in cinque persone a lavorarci: Io, Pamela, due lavoratori (Teddy e German) e un altro volontario cileno di sessant’anni (Bernardo).
Subito dopo essere salito sulla macchina compresi come queste persone fossero matte, in senso buono. Volevano a tutti costi fare qualcosa di utile per la comunità e, con sacrifici e privazioni, ci erano riusciti.


Bernardo mi raccontò di come avesse deciso di mettere al primo posto il viaggio e l’avventura nella sua vita, questo lo aveva portato, in trent’anni, a viaggiare per tutto il Sud America vivendo con poco e barattando il suo lavoro (opere di carpenteria o creazione di murales) con il vitto e l’alloggio.
Sembrava avere davanti un libro aperto.
Mi raccontò la sua vita, da quando poco piu’ che ventenne riusci’ a scappare dal carcere in cui era stato rinchiuso durante la dittatura di Pinochet, per futili motivi, fino agli ultimi mesi in cui, a corto di sodi, era tornato in Cile dalla Bolivia in cerca di fortuna.


Durante il giorno facevamo opere di rinnovamento della struttura, che sotto il sole e il vento costante, con il tempo perdeva i pezzi. Potevano essere lavori di carpenteria, saldare e unire assi o pezzi di ferro, oppure di pulizia. L’orario di lavoro erano sei ore che però, spesso diventavano otto.
Poi la sera, insieme a Bernardo (visto che gli altri tornavano a casa ad Antofagasta, distante una ventina di chilometri) cenavamo con il poco che avevamo in casa e si terminava con i suoi racconti delle esperienze in Bolivia.
Tornato nel domo, dopo aver chiuso tutte le uscite, mi mettevo a dormire, pronto per un’altra giornata di lavoro.


Durante i due giorni di pausa lavorativa (el descanso) ebbi il tempo di riposarmi e di visitare Antofagasta, che dista solo 20 Km dal parque. In poche ore, dopo aver preso l’autobus ed essermi avvicinato al centro, compresi la grande disuguaglianza economica che caratterizzava la citta’, una delle piu’ ricche del Cile grazie ai vicini giacimenti di cobre.
Intorno al piccolo centro storico e lungo tutta la costa si estendevano a vista d’occhio le favelas abitate dagli immigrati, prevalentemente di origine Venezuelana e Colombiana, che erano giunti ad Antofagasta in cerca di fortuna.


Quando l’esperienza stava volgendo al termine, dopo aver passato una bellissima settimana in questa oasi nel deserto, ero pronto a caricarmi lo zaino sulle spalle e ripartire. La prossima meta sarebbe stato il deserto di Atacama, il piu’ arido al mondo.
Invece niente!
Dovetti desistere a causa dello sciopero generale organizzato il giorno prima in tutto il Cile.
Gli scontri violenti tra una parte dei manifestanti e i carabineros, in una manifestazione che doveva essere pacifica, porto’ alla distruzione e all’incendio di gran parte del centro storico.
Le arterie principali della citta’ vennero paralizzate da barricate fatte di legno e copertoni di auto bruciate. Per questo motivo, dovendo partire alle cinque del mattino con un autobus dal centro citta’, decisi di annullare il viaggio e di rimanere.

Quel che rimane del centro di Antofagasta


E’ stata un’esperienza molto importante e forte per me, peccato durata solo una settimana, mi ha fatto conoscere molte persone interessanti e un’altra realtà, quella di chi veramente fa fatica a ritrovarsi alla fine della giornata con qualcosa da mangiare.
Ho conosciuto qualcuno che la mattina, quando si sveglia, è felice di andare a lavorare, ama quello che fa, ama la libertà e si accontenta di poco.