Era il 25 giugno quando, verso le sei di mattina, ho raggiunto il garage di casa per prendere la bici e dare inizio al mio primo viaggio in solitaria da cicloturista. Le borse erano lì ad aspettarmi, preparate in fretta e furia la sera prima. In pochi minuti ho disposto il tutto sul porta pacchi anteriore e su quello posteriore. Salutata la mia famiglia, ero pronto a partire.
Era stata una corsa contro il tempo: avevo trascorso le settimane precedenti a studiare ininterrottamente così da poter partire il prima possibile. Così, il 21 giugno, data del mio ultimo esame, ha avuto inizio la preparazione del viaggio.
L’idea per questo viaggio è nata casualmente, come spesso mi succede. Era una fredda e piovosa giornata di gennaio quando mi era capitato sotto gli occhi il video di un ragazzo che in sella alla sua vecchia Graziella, aveva raggiunto Capo Nord. Un video talmente entusiasmante da avermi fatto venire voglia di fare lo stesso. Alla fine, però, con il passare dei mesi e il perdurare del Covid, non volendo spendere il mio già risicato budget in tamponi, ho optato per Lisbona – dall’estremo Nord all’estremo Ovest.
Negli attimi che precedevano la mia partenza provavo spesso un brivido di terrore alternato a momenti di grande adrenalina. Prima di allora la mia più lunga esperienza in sella a una bici erano stati poco meno di quattrocento chilometri, spalmati su tre giorni, per raggiungere Forlì da casa mia, a Milano. Un viaggio che, benché corto, mi aveva fatto assaporare le potenzialità del cicloturismo, quali la libertà e l’indipendenza.
Allo stesso tempo, però, sapevo che, nonostante non sapessi veramente nulla sul mondo delle biciclette e la mia preparazione fisica fosse pari a zero, non aveva senso farsi frenare dalla paura. Il rimorso che avrei provato nel mandare a monte la partenza sarebbe stato sicuramente più doloroso.
Così, il 25 giugno ero fuori dal portone di casa insieme alla mia bici, con al mio fianco i miei genitori che, cercando di nascondere le loro preoccupazioni, mi davano la carica. Da quel momento, dopo aver percorso i primi chilometri attraverso un’assonnata Milano, mi attendevano trentuno giorni consecutivi a bordo della mia amata (e a volte odiata) bici, una Cube Nuroad pro.
La prima parte del percorso è stata in Italia: attraversata la Pianura Padana, sono disceso in Liguria in corrispondenza del Passo dei Giovi, dove ho trascorso la prima notte bivaccando in tenda vicino a un piccolo boschetto. Nei giorni successivi ho risalito la riviera di Ponente, seguendo la via Aurelia, fino a raggiungere la frontiera con la Francia. Lì, senza nemmeno un controllo da parte della gendarmerie d’oltralpe, sono entrato in territorio francese.

La Costa Azzurra è stata più faticosa del previsto, facendomi realizzare quanto sia la preparazione fisica che quella mentale siano importanti nel ciclismo.

Senza ombra di dubbio, il terzo giorno di viaggio, da Laigueglia a Cap D’Antibes, è stato il più difficile e faticoso: centoventi chilometri percorsi e quasi mille metri di dislivello, pedalando sotto un sole cocente che non dava tregua, per raggiungere Bessy, un piccolo Bed and Breakfast a una ventina di chilometri da Nizza, che mi aveva offerto ospitalità per la notte.
Nei giorni successivi ho proseguito verso sud lungo trafficate strade statali e stradine a strapiombo sul mare, che con la loro vista facevano sembrare ogni salita meno pendente del reale.
Raggiunta l’affascinante e disordinata città di Marsiglia, ho poi pedalato lungo percorsi sterrati che attraversavano una vallata pianeggiante, scavata col tempo dal fiume Rodano, fino a Montpellier, dove avevo trovato ospitalità con Couchsurfing da una coppia di signori francesi.
Superata Montpellier, ho risalito il canal du Midi, un maestoso canale lungo 250 chilometri, fino a Tolosa. Lì ho intravisto per la prima volta l’imponente catena montuosa dei Pirenei, che nel giro di qualche giorno avrei dovuto superare.

Rivolto verso ovest, ho percorso qualche centinaio di chilometri tra continui su e giù prima di raggiungere Saint-Jean-Pied-de-Port, la città che segna l’inizio del cammino francese di Santiago.

Raggiungere questa piccola cittadina ai piedi dei Pirenei ha posto fine a un’importante capitolo del viaggio, fatto di fatica, avventura ma anche solitudine. In quelle due settimane di viaggio, infatti, erano stati veramente pochi i viaggiatori che avevo incontrato sul mio cammino e, perciò, mi ero spesso ritrovato a dialogare con me stesso e a riflettere.
Il 7 luglio facevo il mio ingresso in territorio spagnolo, dopo aver valicato i temibili Pirenei. È stato sicuramente uno dei momenti più difficili ma, allo stesso tempo, emozionanti: tre lunghe ore sotto una pioggia incessante e avvolto dalla nebbia, in cui hp spinto la mia bici lungo i pericolosi tornanti della statale che, dopo aver raggiunto passo di Ibaneta, scende verso la piccola Roncisvalle, in terra di Navarra.

Come per magia, la solitudine che aveva contraddistinto i primi giorni di viaggio è stata sostituita da incontri e condivisione. Ogni giorno mi trovavo a trascorrere il mio tempo con pellegrini di ogni età e provenienza: Bertario, un signore messicano sulla settantina, che era partito per cercare di trovare un equilibrio nella sua vita; Giacomo, un ragazzo di Rimini che voleva portare a compimento il cammino per ricordare sua madre, mancata qualche anno prima.

Ogni incontro mi riempiva di gioia e serenità, facendomi comprendere quanto fossi fortunato a percorrere un cammino del genere. Per questo motivo la mattina era il momento più difficile in assoluto: non solo era l’inizio di un’altra lunga giornata in sella alla bici ma, soprattutto, dovevo dire addio ai pellegrini che avevo conosciuto il giorno prima.
Con la mia discesa in Spagna ho ritrovato tutte quelle energie che sembravano ormai perse irreversibilmente. Superata la città di Pamplona, sono iniziate le temute Mesetas, un continuo sali e scendi attraverso un ampio altopiano montuoso.

In quei giorni mi sentivo leggero, ogni mattina ero felice di pedalare e di vedere luoghi nuovi. Prima di sera, invece, cercavo di fare tappa nei più piccoli e caratteristici paesini della Spagna centrale, agglomerati di piccole casine che molte volte non avevano altro che albergues de peregrinos. In quei piccoli e semplici posti circondati dalla natura selvaggia mi sentivo in pace con me stesso e rilassato.

Attraversate le Mesetas, mi sono trovato davanti alla parte più difficile del cammino. Ogni giorno percorrevo un centinaio di chilometri con quasi mille metri di dislivello, qualcosa che fino a qualche settimana prima sarebbe stato totalmente impensabile per me. Uno dopo l’altro ho attraversato prima la lunga salita che da poco dopo Astorga porta alla famosa cruz de hierro, e poi il temuto O’cebreiro, che mi aveva aperto le porte della Galicia.

Il 18 luglio, dopo ventiquattro giorni, ho raggiunto la bellissima cattedrale di Santiago de Compostela. Per oltre un’ora mi sono fermato a contemplarla emozionato. Ma l’emozione ha presto lasciato spazio a un leggero rammarico per non aver potuto condividere un traguardo del genere con le tante e indimenticabili persone conosciute nei giorni precedenti lungo il cammino.

Era una sensazione a cui ero preparato fin dall’inizio, ma che non mi aspettavo avrebbe avuto un impatto tanto forte su di me. Mentre io mi trovavo solo e un po’ triste sotto il porticato antistante la cattedrale, a pochi metri da me gruppi di pellegrini facevano il loro ingresso nella piazza, tutti festanti.
Dal giorno successivo ha avuto inizio il cammino portoghese, l’ultimo capitolo del viaggio. Il brutto tempo, che mi ha accompagnato nelle prime quattro tappe del cammino verso Lisbona, ha reso il mio stato d’animo cupo.

Una sera, fermatomi nella cittadina di Mealhada, un centinaio di chilometri dopo la bellissima città di Porto, mi sono ritrovato esausto e senza forze: nonostante mancasse qualche centinaio di chilometri per terminare il viaggio, non riuscivo a trovare la motivazione per continuare. Sembrava paradossale!
La mattina successiva, quando stavo ormai pensando di fermarmi e porre fine al viaggio, mi è arrivato un messaggio da Giacomo, il ragazzo di Rimini incontrato qualche settimana prima a Saint-Jean-Pied-de-Port. Un suo messaggio vocale di una ventina di secondi mi ha infuso l’energia necessaria per continuare: “Ale, ti mancano ormai poche centinaia di chilometri per arrivare, non puoi fermarti adesso! Sei un grande!”.
Il 25 luglio nello stesso modo in cui ho iniziato il viaggio, da solo e senza pensieri, ero arrivato nella famosa Praca do Comercio di Lisbona, la meta finale. Dopo trentuno giorni, 2700 chilometri percorsi e un’infinità di persone incontrate, sono riuscito a saziare la mia sete di avventura e di libertà.

Il giorno successivo è stata una sfida trovare un cartone per imballare la bici così da portarla in aereo con me. Al quinto negozio di ciclismo, quando stavo per perdere tutte le speranze, ho trovato un cartone per la bici, troppo grande per le misure fornitemi dalla compagnia aerea. Perciò, ho trascorso l’intero pomeriggio nella hall dell’ostello, sotto gli occhi infastiditi dei receptionist, munito di penna e taglierino, per modificare il cartone e impacchettare la bici.

Il giorno successivo, il 27 luglio, ho fatto ritorno a casa e riabbracciato la mia famiglia. Non era terminato soltanto un viaggio ma un’esperienza di vita che porterò per sempre con me.
Buen Camino!
Alessandro
Carissimo Alessandro ti seguo con affetto dai tuoi primi passi da esploratore di luoghi e di vita. Oggi ti vedo davvero cresciuto. Fisicamente potenziato, mentalmente allenato, pronto a superare e, cosa più importante, a godere viaggi come questo.
La dimestichezza col mezzo, con le notti, con la solitudine ora ti appartiene. Credo tu sia entrato a giusto merito nel mondo dei cicloviaggiatori! Continuo a seguirti con simpatia e ammirazione.
Robi Ronzinante, un motoviaggiatore. ( comoda la vita…)
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carissimo Alessandro,
adoro leggere le tue avventure. sei la riprova di così tante cose che, vedendo la società di oggi, pensavo morte. Sei un ispirazione ad non accontentarci e a reagire.
Hai tutta la mia stima (come sempre)
Aurora Moro Giorgia
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